mercoledì 9 novembre 2016

    Kyudo, l'arte del tiro con l'arco

    • by DiBlog

    I corsi di yoga, arti marziali e molte altre discipline orientali sono uno dei modi più popolari in occidente con i quali le persone cercano di rilassarsi, migliorare la concentrazione e la conoscenza del sé. Non molti però sono coloro che si dedicano ad un’altra antica arte orientale che unisce in sé la concentrazione dello yoga e la disciplina delle arti marziali, si tratta del Kyudo.

     

    Tradotto dal giapponese, Kydo significa “la via dell’arco”, lo scopo è quello di ricercare verità, bontà e bellezza. Il Kyudo rientra tra le più antiche arti marziali giapponesi ed include la caccia, la guerra, il gioco, cerimonie di corte e sfide di abilità. L’apparizione dell’arco da Kyudo è fatta risalire al 250 a.C. quando veniva usato come strumento da caccia. L’arco rappresentava anche uno strumento di potere politico e l’imperatore Jimmu lo usava proprio come simbolo della sua autorità. Ma il Kyudo subisce presto influenze della filosofia shintoista e del buddhismo zen diventando una pratica rituale.

    Praticare Kyudo non è come recarsi ad un campo di tiro con l’arco, l’atmosfera è più spirituale e ciò che si percepisce è che l’attenzione è qui spostata interamente sulla concentrazione e meditazione che accompagna ogni tiro.

     

     

    Che il Kyudo sia una disciplina rituale e di meditazione è chiaro fin da subito, nell’entrare in una palestra da Kyudo infatti si deve lasciare il mondo esterno al di fuori e ciò si concretizza nel gesto simbolico di togliersi le scarpe e lasciarle all’entrata.

    L’isolamento creato da questo gesto è l’inizio della via, è l’invito a focalizzarsi solo sul presente lasciando ogni preoccupazione, ogni turbamento legato al quotidiano all’infuori dello spazio della meditazione. Nel Kyudojo (luogo nel quale si pratica il Kyudo) ciò che devi respirare è uno spazio puro di cuore e mente.

     

    Anche il tiro segue una ritualità. Ogni membro si reca a tirare in ordine gerarchico cominciando dai principianti e via a salire fino ai più esperti. Dopo ogni tiro l’arciere torna a sedersi ed aspetta il prossimo turno.

    Come ogni pratica legata alla filosofia giapponese il Kyudo è attenzione ai dettagli, ricerca di equilibrio, di pieni e vuoti. Così l’arciere deve imparare prima di tutto il modo di camminare, di girarsi, di inginocchiarsi, dapprima a corpo libero, poi portando con sé arco e frecce.

     

    Il tiro si compone di 9 momenti diversi: camminata, postura, preparazione dell’arco, sollevamento dell’arco, trazione, ancoraggio, rilascio, mantenimento della posizione e abbassamento dell’arco.

    Sebbene le fasi siano sovrapponibili a quelle del tiro con l’arco come lo conosciamo, nel Kyudo ognuna di esse è intrisa di meditazione.

    Ogni gesto acquista un significato, riempie e svuota uno spazio, il corpo segue un percorso in sintonia con la mente fino ad arrivare alla zanshin, ossia il momento dopo il rilascio della freccia, che significa allo stesso tempo “rimanere del corpo” e “rimanere dello spirito”. Entrambe le espressioni descrivono il momento successivo al rilascio, nel quale si continua a mantenere la posizione e con lo spirito si segue il volo della freccia fin sul bersaglio.

     

    Il Kyudo porta così a ad instaurare una profonda connessione tra l’arciere e la sua mente e proprio per le sue caratteristiche di disciplina, meditazione, precisione può risultare estremamente utile anche come modalità di allenamento per chi tira con l’arco!

     

     

     


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